A poco più di un anno dalla rielezione di Emmanuel Macron, la Francia rimane un attore di primo piano tanto sullo scacchiere europeo e mediterraneo quanto a livello globale. Tuttavia, ci si può chiedere se le ambizioni del presidente francese, sia sul piano internazionale che sul piano interno, siano proporzionate alle effettive potenzialità del suo paese e funzionali agli interessi e alle aspettative del popolo francese.
Macron ha ottenuto dagli elettori francesi un secondo mandato presidenziale (della durata di cinque anni) lo scorso aprile, superando al ballottaggio Marine Le Pen con una maggioranza piuttosto netta (58.5% contro 41.5%). Questa vittoria era stata tuttavia in parte offuscata da un tasso di astensione molto alto e da un primo turno piuttosto combattuto. Queste debolezze si sono inoltre manifestate nelle successive elezioni legislative che hanno avuto luogo poco meno di un anno fa, tra il 12 e il 19 giugno del 2022. In questo caso, la coalizione macroniana – Ensemble – non è riuscita a ottenere una percentuale di voti tale da garantire una maggioranza nell’Assemblea nazionale, assicurandosi solo 251 seggi su un totale di 577 (la soglia per una maggioranza assoluta è dunque di 289 seggi). Le legislative dello scorso giugno hanno inoltre registrato risultati positivi per una coalizione di sinistra guidata da Jean-Luc Mélenchon nota come Nupes – o Nouvelle union populaire écologique et sociale – e risultati sorprendenti per il Rassemblement National – il partito guidato da Marine Le Pen – che ha ottenuto 89 seggi (mentre nella precedente legislatura il suo precursore, il Front National, aveva solo 8 seggi). Questi numeri hanno reso molto difficile il compito di attuare la visione di Macron per il governo guidato da Élisabeth Borne (può essere utile ricordare che in Francia vige un modello “semi-presidenziale” in base al quale il presidente della Repubblica, che viene eletto a suffragio universale e ha un ruolo centrale nella gestione del potere esecutivo, nomina il governo, legato a sua volta da un rapporto di fiducia con il parlamento). Va inoltre notato che, secondo i dati riportati dalla testata giornalistica Politico, l’indice di gradimento da parte dell’opinione pubblica francese nei confronti dell’operato dello stesso Macron si ferma al momento a un poco soddisfacente 28%. Questa realtà non sembra comunque aver scalfito la determinazione del presidente di portare avanti i suoi progetti.
Un punto fermo nella visione internazionale di Macron è l’idea che la Francia possa giocare nel mondo il ruolo di “potenza mediatrice” e di “potenza di equilibrio”. In base a questa logica, il presidente francese ha più volte ribadito la necessità di non “umiliare” la Russia e tenere aperto un canale negoziale con Mosca. Questo approccio non sembra tuttavia aver permesso alla Francia di influenzare in maniera significativa l’evoluzione di un conflitto che ruota ancora quasi esclusivamente attorno a tre attori principali – l’Ucraina che sta resistendo con sorprendente determinazione all’invasione russa, gli Stati Uniti che sono di gran lunga il principale sostenitore di Kiev e il regime di Vladimir Putin, che continua a perseguire la sua guerra di aggressione nonostante le forti perdite umane e i pesanti sacrifici economici imposti al popolo russo. Lo stesso Macron ha d’altro canto dichiarato lo scorso febbraio di volere la “sconfitta” della Russia in Ucraina, e ha recentemente sostenuto l’opinione secondo cui la Russia ha già “perso geopoliticamente” la guerra e ha iniziato il percorso verso una “una forma di vassallaggio” nei confronti della Cina. Il governo di Parigi ha inoltre da poco autorizzato la fornitura di veicoli blindati e carri armati leggeri alle forze armate ucraine. In generale, secondo i dati riportati dal Kiel Institute for the World Economy, il sostegno francese all’Ucraina è inferiore a quello di altre potenze come gli USA, il Regno Unito o la Germania, ma è comunque di poco superiore a quello del governo italiano, che ha tuttavia adottato una posizione politica più netta in favore di Kiev.
Un altro obiettivo del presidente francese è quello di promuovere l’“autonomia strategica” a livello europeo. Il presidente francese ha ribadito questa ambizione anche recentemente, nel corso di un viaggio in Cina, incentrato sul tentativo di favorire una mediazione a riguardo del conflitto in Ucraina. In quest’occasione Macron ha dichiarato che gli europei non devono necessariamente “seguire” le altre potenze mondiali a riguardo della questione di Taiwan e adattarsi a una dinamica scandita da iniziative americane e “reazioni eccessive” cinesi. Queste dichiarazioni sono state tuttavia giudicate inopportune da molti commentatori ed esponenti politici su entrambe le sponde dell’Atlantico. Inoltre, nel corso del vertice di Hiroshima che si è tenuto dal 19 al 21 maggio, i leader dei paesi del G7 – tra cui figura anche la Francia – hanno dichiarato la volontà di sostenere l’Ucraina fin quando sarà necessario nei confronti della “guerra illegale di aggressione” lanciata dalla Russia e di voler promuovere una regione dell’Indo-pacifico “libera e aperta”, opponendosi a qualsiasi tentativo unilaterale di cambiare lo status quo con la forza o con metodi coercitivi.
Un altro elemento di difficoltà per Macron sul piano internazionale, e in particolare per quanto riguarda l’azione francese sullo scacchiere mediterraneo, è rappresentato dalla relazione con il governo italiano presieduto da Giorgia Meloni ed entrato in carica lo scorso 22 ottobre. Macron è stato il primo leader straniero a incontrare la nuova presidente del Consiglio, tuttavia i rapporti tra Macron e Meloni, e più in generale tra Parigi e Roma, sono stati recentemente caratterizzati da significativi disaccordi. Lo scorso settembre, la vittoria della coalizione di destra in Italia è stata salutata con entusiasmo da esponenti della destra e dell’estrema destra francese, mentre la prima ministra Borne si è distinta per una dichiarazione gratuita e controversa secondo cui la Francia sarebbe stata attenta al rispetto dei diritti umani in Italia.
Le più importanti fonti di tensione politica tra Francia e Italia vertono al momento soprattutto sulle politiche destinate a gestire il fenomeno migratorio e le emergenze umanitarie che esso genera nel contesto mediterraneo. Lo scorso novembre il rifiuto del governo Meloni di far sbarcare 230 migranti trasportati dalla nave “Ocean Viking” – applaudito con entusiasmo dalla destra e dall’estrema destra d’Oltralpe – è stato giudicato “inaccettabile” dal governo francese, che ha poi accolto i migranti nel porto di Tolone. Questo episodio si è poi risolto con una dichiarazione congiunta di Macron e del presidente della Repubblica italiano Sergio Mattarella in cui si è ribadita la “grande importanza” delle relazioni tra Francia e Italia. La tensione latente tra i governi di Roma e Parigi è tuttavia riemersa recentemente, quando il ministro dell’Interno francese Gérald Darmanin ha criticato la politica migratoria del governo Meloni, definita tra l’altro come “inumana” da Stéphane Séjourné, il segretario di Rénaissance, il partito di Macron. Queste dichiarazioni hanno spinto il ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani ad annullare un viaggio a Parigi per incontrare la sua omologa francese Catherine Colonna. Queste divergenze, che secondo Giorgia Meloni sono dovute alle difficoltà politiche interne fronteggiate da Macron, sembrano essere rientrate a seguito di un colloquio tra la presidente del Consiglio italiana e il presidente francese nel corso del G7 di Hiroshima. Il risultato di questo faccia a faccia sembra essere infatti una maggiore convergenza di vedute per quanto riguarda la crisi ucraina, la questione migratoria, e la crisi in corso in Tunisia, che sta complicando le sfide umanitarie nel Mediterraneo.
Sebbene le osservazioni di Giorgia Meloni circa le difficoltà interne di Emmanuel Macron possano essere lette come una risposta a tono alle già citate esternazioni negative sul governo italiano da parte di esponenti politici francesi, va notato che la politica interna può effettivamente essere considerata come il più significativo punto dolente per il presidente francese – e come la principale causa della sua scarsa popolarità. In questo caso, il fattore di crisi più consistente è rappresentato dal progetto di riforma del sistema pensionistico fortemente voluto da Macron. Il cardine di questo progetto di riforma è rappresentato dalla volontà di innalzare l’età pensionabile da 62 a 64 anni e di accelerare il raggiungimento di una soglia minima di 43 anni di contributi per poter beneficiare in pieno del sistema pensionistico. Sebbene l’età pensionabile francese possa apparire piuttosto bassa, va osservato che la Francia ha una produttività del lavoro di poco inferiore alla Germania e agli Stati Uniti, e superiore al Regno Unito e all’Italia. La Francia ha inoltre una popolazione relativamente più giovane rispetto a paesi come la Germania e l’Italia e un tasso di fertilità più alto rispetto a questi due paesi (e in particolare rispetto all’Italia). Il rapporto tra debito pubblico e Pil francese, nonostante una leggera riduzione dovuta a una ripresa economica pot-Covid migliore delle aspettative, è superiore rispetto alla media Ue, e dunque si può ritenere che una riorganizzazione generale volta a rendere il sistema di welfare più sostenibile sia un importante obiettivo di lungo periodo – un obiettivo del resto comune a tutti i paesi industrializzati. Tuttavia gli indicatori qui citati suggeriscono che il sistema pensionistico francese sia discretamente sostenibile nel breve e medio periodo. Questo aspetto dello Stato sociale francese può essere anche considerato uno dei fattori che garantiscono alla Francia una minore disuguaglianza rispetto a tutti gli altri paesi citati in queste righe.
Il progetto di riforma pensionistica ha incontrato immediatamente il parere negativo delle organizzazioni sindacali francesi, e si è dimostrato molto impopolare anche agli occhi dell’opinione pubblica, dando vita a numerose manifestazioni di protesta, come testimoniato anche da una grande mobilitazione nazionale in occasione della Festa del lavoro del primo maggio. Questa forte opposizione popolare, unita alla debole posizione del governo, ha spinto la Prima ministra Borne a ricorrere alla procedura nota come “49.3” – stabilita dal relativo articolo della costituzione francese, in base al quale il governo può porre la questione di fiducia a riguardo di un provvedimento, che si ritiene poi approvato a meno che il parlamento non voti un’esplicita mozione di sfiducia – nel cui caso il provvedimento è bocciato e il governo cade. Il governo Borne è stato oggetto di due mozioni di sfiducia, ma, anche se con grande fatica, è sopravvissuto e la riforma è dunque passata. Sono tuttavia previste nuove giornate di protesta ed è stata depositata all’Assemblea nazionale una proposta di abrogare la riforma, che rimane insomma una fonte di profondo e diffuso malcontento sociale.
A un anno dalla rielezione di Macron e dalla ricomposizione degli equilibri politici interni francesi, non è facile tracciare un bilancio relativo alla direzione verso cui il presidente sta guidando il paese. Da un lato si può confermare che, contrariamente a una diffusa percezione, la Francia è un paese produttivo e solido dal punto di vista economico, e per certi versi può essere un modello per paesi come l’Italia e perfino per la Germania. Sul piano internazionale, la Francia, pur non essendo in grado di svolgere un ruolo autonomo e determinante come “potenza di equilibrio” è comunque capace di dare un contributo significativo in relazione alle principali sfide globali, e si conferma come un partner imprescindibile anche per paesi retti da governi caratterizzati da ideologie significativamente differenti rispetto a quella dell’attuale esecutivo di Parigi. Tuttavia le difficoltà vissute da Macron nel conciliare la sua visione e le sue priorità con le realtà interne e internazionali che la Francia si trova a fronteggiare danno spesso vita a contraddizioni controproducenti che penalizzano il paese sia sul piano globale che in termini di coesione nazionale.
Diego Pagliarulo